Viaggio nella Grecia dei teatri antichi e dei siti svenduti a poco prezzo. Come location per spot. La crisi picchia duro. Ridotti al minimo i finanziamenti per il ministero della Cultura. E non ci sono soldi per la tutela. Tanto meno per la valorizzazione. L’associazione nazionale degli archeologi greci lancia un grido di allarme
La crisi in Grecia ha cause diverse che nel resto dell’Europa. Qui c’è uno stato social-burocratico gigantesco affetto da clientelismo e favoritismi, i retaggi storici della dominazione ottomana. La crisi è sì economica, debitoria, creditizia, ma soprattutto è crisi istituzionale, strutturale e di valori. Malgrado ciò, contrariamente a quanto si dice in Europa, la cultura greca è viva. E la vita continua e trionfa: ad Atene ci sono più di cento teatri, i cinema all’aperto sono pieni e d’estate i musei restano aperti tutta la notte… Fuori dal centro di Atene, ridotto a grande ghetto degradato, la crisi è ancora un fantasma. Siamo un Paese che si fa prendere dai ritmi dell’estate: quando cominciano le gite al mare dimentichiamo tutti i nostri guai. Chi pensa che la Grecia appaia devastata dalla crisi, rimarrebbe stupefatto dalle nostre notti, le ore piccole e tanto caffè freddo shakerato. Ma le misure di austerità, in realtà, hanno ripercussioni serie sulla tutela e la valorizzazione dei siti archeologici, che sono parte integrante della nostra identità nazionale e del nostro patrimonio oltre che fonte di ricchezza per la Grecia.

Però, in periodi di crisi e di declino, avvengono sempre “cose pazze”: a febbraio sono stati rubati reperti dal museo di Olimpia; archeologi esperti sono stati costretti al pensionamento; l’orario di apertura di siti e musei greci è stato ridotto per i tagli alla spesa pubblica. E intanto, i depositi e i sotterranei dei musei sono pieni di reperti in attesa di essere valutati ed esposti. La sola costruzione della metropolitana di Atene e i lavori per quella di Salonicco hanno portato alla luce una pletora di nuovi reperti; senza contare gli scavi che nonostante i ritardi, non si sono mai arrestati.
L’esempio più “spettacolare” degli ultimi anni (per totale mancanza di politica locale) è il museo archeologico di Atene, che per sua sfortuna si trova in una zona di traffico di droga, prostituzione e criminalità. Per arrivare indenni al museo bisogna evitare spacciatori e tossici. Questa grave situazione, dovuta a molteplici fattori, richiederebbe nuove politiche di ripristino della legalità e dell’ordine. Il sindaco di Atene appare sempre più stanco nelle foto sui giornali, invecchiato di dieci anni nell’affrontare in assoluta solitudine problemi insolubili. Per reperire fondi per la manutenzione dei siti archeologici da qualche settimana è stato deciso che troupe straniere, società pubblicitarie e altre aziende possano fotografare persino i capolavori dell’epoca di Pericle risalenti al V secolo a.C., come il Partenone. Nella speranza che aiuti a rimpinguare le casse pubbliche e dia immagine al nostro Paese all’estero. Tesori archeologici come il sito di Delfi, il secondo nelle mete turistiche dopo l’Acropoli, diventerà una location foto-cinematografica in cambio di compensi ridicoli che non superano i 1.600 euro al giorno. È facile capire che ci siamo impoveriti terribilmente e che sconti e svendite sono cominciati. Forse in questa fase è necessario. Ma almeno ci dovrebbero essere dei controlli. Ma si sa noi Greci… siamo asini quanto a “controllo”…
La verità è che i nostri capolavori classici non sono stati valorizzati abbastanza. A causa della burocrazia, della grettezza, della sterile sacralità attribuita all’antica cultura greca. Ci sono state delle eccezioni, è vero, ma di cattivo gusto estetico, senza rispetto per i siti: quando ero piccola, nell’antico teatro di Erode Attico si organizzavano concorsi di bellezza, bombe sexy ossigenate sfilavano in bikini nell’atmosfera mistica del II secolo d.C. Prima della recente decisione del ministero della Cultura, il Consiglio archeologico centrale, uno dei più potenti organi dello Stato, aveva sempre negato l’accesso ai siti archeologici per scopi che non fossero la ricerca scientifica. Non erano ammesse riprese, se non in casi eccezionali e a cifre astronomiche. Nonostante il supposto “demone greco”, l’imprenditorialità non è mai stata incoraggiata: siamo un Paese abituato al sostentamento statale e lo “Stato” oggi non valorizza lo splendido passato che aleggia tra noi. Nei suoi 2.500 anni di storia, l’Acropoli è stata concessa come location solo due volte: una per Francis Ford Coppola e una per Nia Vardalos (la regista del film Il mio grosso grasso matrimonio greco), che ci ha girato Le mie grosse grasse vacanze greche. Nel 2009 Vardalos disse che aveva speso «moltissima energia e tempo» per convincere le autorità che le riprese sarebbero state un beneficio per il Paese. Anche se a mio avviso, poi, non hanno giovato molto visto che entrambi i film di Vandalos sono per idioti. Ma se cambiasse la nostra mentalità, forse sullo sfondo dei siti archeologici greci si girerebbero film migliori.
Il ministero della Cultura sopravvive con solo lo 0.7 per cento del bilancio nazionale. Se a questa percentuale scandalosa si aggiungono le spese per cattiva gestione, ci troviamo in impasse e allo stesso tempo davanti a un miracolo. Nonostante difficoltà insormontabili, la vita culturale, come si diceva, non manca. I problemi però si accumulano: la mancanza di fondi per esempio, ha portato a rimandare continuamente la costruzione di un nuovo accesso al sito di Delfi (che infine è iniziata qualche giorno fa). Si suppone che le entrate frutto dei permessi di accesso ai siti saranno usate dal ministero che dal 2010 si è visto ridurre i finanziamenti del 32 per cento.
È passato molto tempo dalla discussione pubblica per il rientro in patria delle sculture del Partenone: oggi manca il personale, molti musei sono chiusi e molti archeologi sono degradati a burocrati o sono disoccupati. L’Associazione degli archeologi cerca di reagire con il motto «I monumenti non hanno voce. Tu sì» denunciando la sottovalutazione della loro professionalità, dacché sono costretti a occuparsi quasi solo di aspetti burocratici e di sopralluoghi nei cantieri dove potrebbero esserci reperti. Negli ultimi decenni peraltro il settore edile è precipitato e gli archeologi si dedicano sempre più a scavi di salvataggio ma senza avere tempo e modo per rendere pubblici i ritrovamenti.
A questo punto bisogna almeno dare la giusta collocazione agli archeologi in servizio e dare loro la possibilità di fare il proprio lavoro. Il problema non è certo la “pigrizia”: in Grecia si scava in modo affannoso, si trovano e si accumulano oggetti. La quantità è tale che, come dicono alcuni archeologi disperati, si cade nella tentazione di sotterrarli di nuovo. Ovunque si apra una fossa, si trovano reperti: ci sono 19mila siti archeologici e monumenti, 210 musei archeologici. Che necessitano di manutenzione e di ammodernamento. A Citera, dopo che l’archeologo locale Aris Tsaravopoulos è andato in pensione nessun altro della Sovrintendenza è mai andato sull’isola, e il signor Tsaravopoulos non ha potuto procedere al pieno salvataggio dei reperti quando una tempesta ha portato alla luce una moltitudine di vasi minoici del II millennio a.C. Una parte è stata trascinata in mare dalla pioggia e al prossimo temporale non rimarrà più niente. Così o ci si strugge per l’assenza di interventi statali o si è risucchiati dal sistema perdendo ogni spirito di iniziativa e creatività. Urge una nuova cultura, anche fra gli esperti e i cittadini: la Grecia è impensabile senza la sua storia, senza quei marmi che non arrugginiscono. Per salvarci dalla catastrofe dobbiamo salvarci dall’abbandono e dall’oblio.
(Traduzione dal greco di Giuseppina Dilillo)